Bruce Springsteen attraverso “Liberami Dal Nulla”

Pochi cantanti hanno mantenuto un soprannome tanto iconico quanto “The Boss” durante la propria carriera, e soprattutto, in pochissimi nel corso della propria crescita come artisti, si sono distinti per le proprie doti e per la propria personalità vigorosa. Bruce Springsteen, vincitore di innumerevoli premi, considerato ad oggi come uno dei più grandi cantautori statunitensi dell’ultimo mezzo secolo, viene ammirato non soltanto per le proprie canzoni diventate miti del rock, come Dancing ln the Dark o Born to Run, ma anche per la propria personalità totalmente distaccata da quella di molteplici altri autori della sua epoca. Se spesso innumerevoli personaggi del mondo della musica hanno preferito mostrarsi con un look più trasandato ed un modo di porsi distaccato davanti a stampa ed ammiratori, Springsteen si è presentato sempre in modo molto più pragmatico, con un atteggiamento concreto e soprattutto meno allucinato.

Lontano da droghe ed alcol per praticamente tutta la sua carriera, The Boss si riconosce per le tematiche espresse nei suoi brani, difatti è annoverato come uno dei più grandi cantori della vita americana, non solo alla pari di altri cantautori come Bob Dylan (che ricordiamo, insieme ad Elvis Presley fu tra i suoi principali miti), ma anche al livello di veri e propri scrittori statunitensi, come John Steinbeck, che si occupava di narrare la vita della “working class” americana e Walt Whitman, grande patriottico.

Bruce però, non è uno di quei cantanti che durante la propria carriera ha seguito un’unica linea di percorso senza reinventarsi mai, ha infatti proposto spesso generi disparati fra loro, mostrando negli anni sempre più sfaccettature della sua musica e anche di sé stesso. Nei primi lavori, come ad esempio l’album capolavoro Born to Run, con un sound rock inconfondibile descrive la giovinezza, la fuga e i primi accenni alle crepe del sogno americano con uno sguardo unico nel suo genere. Invece dai dischi Darkness On the Edge of Town e The River viene mostrata una personalità introspettiva, avvicinandosi sempre più alla vera anima del cantante. Tutto questo fino ad arrivare all’inizio degli anni ‘80, quando l’artista, ormai considerato di successo, riscontra più che mai delle difficoltà nel proprio percorso.

Questa sezione della vita di The Boss viene raccontata nella pellicola uscita in questi giorni nelle sale cinematografiche,

Springsteen: Liberami dal Nulla, per la regia di Scott Cooper, con Jeremy Allen White (star in ascesa già pluripremiata per la sua performance nella serie The Bear) nei panni del cantante.

Grazie ad una breve analisi di questo film potremo analizzare la figura di Bruce nel migliore dei modi, cercando di scrutare ogni dettaglio della sua evoluzione, che l’ha poi portato ad essere il cantautore che tutto il mondo ama.

Questa pellicola, in cui purtroppo bisogna immediatamente ammettere, sono presenti dei difetti di base, ha un compito molto pretenzioso, ovvero quello di voler mostrare The Boss proprio in questo periodo tanto difficoltoso per la sua crescita. Il Bruce Springsteen presentato nel film non è quello che il pubblico ha quasi sempre in mente oggi, non è il magnifico artista rock che si esibisce per 3-4 ore di fila senza stancarsi (e senza abusare di droghe); è un uomo semplice,molto più malinconico, che arrivato al centro della sua carriera guarda a ritroso nella sua vita ricordandosi tanti eventi negativi che è riuscito a passare, ma non a superare mentalmente. Centrale nel lungometraggio è il rapporto conflittuale con il padre alcolista Douglas, interpretato dal grandissimo Stephen Graham, attore che grazie alle proprie doti ha sorpreso lo stesso Springsteen durante la visione della pellicola. Questo legame tanto difficile, che torna sempre più a galla nella vita dell’artista, viene spesso raccontato nelle canzoni, e spingerà l’autore alla nascita dell’album Nebraska, centrale per la trama del film.

Grazie a questo disco The Boss non è più il re del rock di una volta, è molto più cupo, non solo nell’atteggiamento, o nella rappresentazione cinematografica, ma più che altro nei brani stessi. Essi non furono incisi in studio, bensì nella camera da letto del cantautore; lo stile si avvicina molto di più al folk, sembra quasi di sentire un’ opera di Bob Dylan con dei tratti ancora più singolari. Le tematiche del disco sono concordi con ciò che è già stato trattato fino ad ora da Springsteen, però tutto è presentato con un occhio più oscuro: per esempio il soggetto del sogno americano, che ovviamente si concretizzerà al massimo nell’album Born ln The U.S.A, qui viene descritto con una forte disillusione. Il mostrare questa sensibile tematica con uno sguardo nuovo fa annoverare il cantautore fra gli artisti statunitensi più importanti di questo periodo, infatti, anche se molto spesso si può rivelare come patriottico per le proprie canzoni, utilizzando un occhio più attento nei testi proposti, è facile vedere una sotto forma di critica per questo grande ideale.

Proprio nella pellicola sul cantante, quasi tutti i pezzi “orecchiabili” scritti da The Boss non sono portati su schermo, tranne Born to Run che apre il film, questo è per mettere in chiaro fin da subito cosa si voglia rappresentare; uno dei suoi brani più famosi, Born in the U.S.A., è presentato in modo acustico, molto più semplice, molto più intimo, e soprattutto molto più profondo. Altre canzoni, come ad esempio Dancing ln the Dark, non sono nemmeno citate.

Naturalmente è piacevole vedere queste peculiarità del carattere di Bruce Springsteen, che fuori dal palco si mostra quanto mai umano ci si possa aspettare, però a lungo andare il lungometraggio cinematografico diventa prolisso nel trattare la depressione del cantante, che sembra quasi non arrivare mai, come se fosse nascosta per essere poi descritta negli ultimi 15 minuti della pellicola.

Manca tanto del The Boss amato ancora oggi, i mastodontici concerti, lo stile rock inconfondibile, e tanto altro. L’idea di rappresentare questo tratto nascosto del cantautore è ovviamente lodevole, ma purtroppo è caratterizzata da innumerevoli lacune. La regia del prodotto finale infatti, rende il film quasi anonimo nel descrivere Springsteen, quasi come se fosse un cantante come tanti altri, ma per fortuna l’ottima interpretazione di Jeremy Allen White riesce ad elevare la pellicola.

Essendoci dunque soffermati sulle tematiche trattate nel lungometraggio Springsteen: Liberami dal Nulla, possiamo giungere alla parte conclusiva del discorso. Bruce Springsteen ha ammesso pubblicamente di aver avuto parecchi problemi durante la propria carriera, non dipendenze o carenze come altri suoi colleghi, ma un difficile rapporto con la depressione, con cui ancora oggi lotta grazie ad aiuti psicologici e dai propri affetti. Ciò che fa apprezzare di più la pellicola sulla sua crescita emotiva è il voler mostrare il cantante in grave difficoltà, ma mai privo di speranza e soprattutto, mai distaccato dal suo grande amore per la musica.

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